Dopo lo studio di medicina a Zurigo ho scritto la tesi di dottorato sotto la guida del Prof. Balthasar Staehelin (1923-2005), psichiatra ed esperto in medicina psicosomatica, - un cristiano convinto che cercava di superare il contrasto tra scienza e fede.
Prendendo spunto da un piccolo libro di Chiara Lubich sulle caratteristiche dell’amore cristiano (apparso nell’ editrice ‘Neue Stadt’: [1]) ho cercato di vivere le caratteristiche di questo amore nel rapporto medico-paziente in 101 colloqui con 12 pazienti sofferenti di sintomi vegetativi e di mancanza di ‘fiducia di base’ (“Urvertrauen”).
Ho vissuto questo ‘nuovo rapporto’ in ciascuno degli 8-9 colloqui che ho avuto con ogni paziente, ma la reciprocità del rapporto medico-paziente veniva in evidenza soprattutto nel 4° colloquio quando spiegavo che l’esercitarsi sia nell’atteggiamento del donare sia in quello del ricevere fosse la caratteristica di questa terapia ed ho proposto di dire anch’io qualcosa di personale. Dopo una introduzione ho poi raccontato qualcosa della mia esperienza spirituale e della scoperta di Dio-amore e di un cristianesimo autenticamente vissuto.
Con 10 pazienti è nato ‘un vero rapporto di fiducia’; in 5 di loro è aumentata la fiducia di sé, quella nei prossimi ed in Dio, mentre i sintomi vegetativi e l’ansia diminuivano.
Nel mio cammino di psichiatra e focolarino ci sono da una parte le tappe dettate da fattori esteriori, [come la tesi di dottorato, 2 anni di scuola di formazione dei focolarini a Loppiano (FI), la specializzazione in ‘psichiatria e psicoterapia’ a Berna e Losanna (1988, titolo FMH), 7 anni e ½ di lavoro nel campo della psicologia dell’aviazione (soprattutto selezione) e più di 12 anni nel mio studio privato di psichiatra e psicoterapeuta a Zurigo].
Ma dall’altra parte ci sono quei momenti particolari ed indimenticabili che mi hanno profondamente marcato e che mi sono rimasti come dei modelli per tutta la mia attività professionale. Citerei 4 di queste esperienze-chiave:
1.) Nel 1978 all’occasione di una visita di Chiara Lubich a Loppiano ero seduto in cerchio con alcuni focolarini e Chiara ed ho recitato una piccola poesia sulla mia esperienza nei pochi mesi trascorsi a Loppiano: sono rimasto molto toccato dall’ascolto profondo di Chiara e di come ‘si è fatta uno’ con me: in quel momento non pensavo di trovarmi davanti ad una grande personalità (la fondatrice e la presidente del Movimento dei Focolari), ma vedevo in Chiara una persona che era completamente amore - e mi sentivo benissimo con lei!
2.) Nel 1986 quando ho conosciuto ‘l’antropologia trinitaria’ ed ho scoperto la persona umana nella sua dimensione spirituale che forma un’unità con la sua dimensione psichica e quella corporea.
3.) Nel 1999 quando ho potuto essere presente a Malta al conferimento del dottorato honoris causa in psicologia a Chiara Lubich ed ho ricevuto il coraggio di parlare di ‘psicologia e comunione’ anche ai miei colleghi.
4.) Nell’estate 2006 ho potuto salutare Chiara Lubich due volte davanti alla sua residenza di vacanze in Svizzera quando usciva in macchina: Guardandola negli occhi ho trovato un abisso pieno di Dio! Porto dentro di me questa immagine di Chiara nella sua fedeltà incondizionata a Gesù abbandonato che ci trasmette Dio proprio nella sua fragilità e debolezza – e rimane per me un modello per il mio essere focolarino e psichiatra!
Con alcuni pazienti del mio ambulatorio è diventato possibile scambiare esperienze sulla parola di Dio vissuta e approfondire i punti della spiritualità dell’unità - un’espressione concreta della reciprocità del rapporto terapeuta-paziente.
Fino adesso sono stati 12 i pazienti (affetti da depressione) con i quali ho approfondito almeno 6 (dei 12) punti della spiritualità dell’unità. In Gennaio 2008 ho dato loro un questionario con 10 domande:
Le prime 9 domande erano le stesse della mia tesi di dottorato:
Ho chiesto al paziente cosa pensa del fatto che io come medico abbia condiviso esperienze personali
ed esperienze con Dio
se crede che esiste l’amore disinteressato
se crede in Dio
se attraverso i nostri colloqui sia stato cambiato qualcosa nel suo rapporto con Dio
se i colloqui lo hanno aiutato a trovare o approfondire la fiducia in sé, nei prossimi ed in Dio
se vede un senso nella vita
se soffre o soffriva della mancanza di senso della vita
e se i sintomi sono stati migliorati attraverso i colloqui
– Tutti i pazienti hanno apprezzato il fatto che anch’io come terapeuta abbia donato qualcosa della mia esperienza personale e con Dio; si sentivano presi sul serio nella loro fede di cristiani credenti ed aiutati ad aumentare la fiducia in sé, nei prossimi ed in Dio.
Nella 10° domanda ho chiesto al paziente:
la sua posizione di fronte al dolore ed alla sofferenza, quale senso veda nelle esperienze dolorose e
il suo rapporto con ‘Gesù abbandonato”, mi interessava cioè sapere come aveva capito questo cardine della ‘spiritualità dell’unità’.
Ecco alcuni estratti di risposte dei 12 pazienti a questa 10° domanda:
1.) “Nella mia vita sperimento dolore e sofferenza sempre come una nuova occasione per crescere nel mio rapporto con Dio – un dono.”
2.) “Non ho veramente l’impressione di aver un rapporto con G.A. o di aver capito questo cardine. Ma vorrei saperne di più!”
3.) “Lui è il mio grande amore.”
4.) “Qualche volta aspetto con ansia il cielo dove dolore e sofferenza non ci saranno più.”
5.) “Con l’esperienza so che da ogni dolore può nascere qualcosa di positivo… L’amore a G.A. è il fondamento dell’unità tra gli uomini.”
6.) “Attraverso il dolore posso maturare interiormente, evitare tanti sbagli e diventare umile.”
7.) “Poter ‘andare al di là della piaga’ è un grande dono.”
8.) “Capisco che dolore e sofferenza fanno parte della vita, anche se questo non è sempre piacevole.”
9.) “Qualche volta anch’io mi sento abbandonata, come Gesù sulla croce; ma lui mi da tanta forza.”
10.) “Sofferenza e dolore fanno parte della vita – direi addirittura di una vita ‘equilibrata’.”
11.) “Gesù abbandonato è ogni giorno con me. Non vorrei pensare a lui solo nei momenti difficili. Lui è il mio amico, e un’amicizia ha bisogno di essere curata.”
12.) “Dolore e sofferenza emarginano; in quei momenti Gesù abbandonato ci è sempre vicino in maniera speciale; l’ho sperimentato anch’io.”
Mi sento fortunato per poter essere in cammino insieme ai miei pazienti e per poter amare Gesù abbandonato nella loro sofferenza!
Voglio amare ‘per primo’ – senza aspettarmi una risposta. Ma – quale sorpresa e dono prezioso ed incoraggiante – ho trovato degli ‘spazi di reciprocità’ con alcuni pazienti: possiamo sperimentare l’amore reciproco e la presenza di Gesù in mezzo anche in terapia secondo la promessa di Gesù: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.” (Mt 18,20)!