s3_4.jpgDott.ssa Inês Juliao

Psichiatra, psicanalista, responsabile della ONG Laço

Direttrice della Clinica Psichiatrica dell’Ospedale Santo Ivo

Belo Horizonte - Brasile

 

La “Laço”, Associazione di Sostegno Sociale, segue circa 600 persone. Sono i pazienti, i loro familiari e le persone della comunità, quasi tutte abitanti della favela Aglomerado da Serra, uno dei più grandi spazi di povertà della città di Belo Horizonte, in Brasile. Questa favela, con circa 140 mila abitanti, ha il più grande indice di criminalità e di omicidi della regione metropolitana. Quando, nel 2002 è nata la nostra Associazione, si costatava che i pazienti vedevano la loro sofferenza psichica e la malattia associati direttamente all’esclusione sociale (alla mancanza di lavoro e di un’attività). Essi si ricusavano di parlare e di affrontare le loro difficoltà e cercavano delle soluzioni immediate. Chiedevano medicine, attestati medici per ottenere benefici dagli organi del governo oppure una pensione, come mezzo per mantenersi economicamente. Non si sentivano coinvolti nel curarsi e non si interessavano del loro futuro. Questa posizione di ‘vittime’ era rinforzata dal tipo di terapie offerte dai servizi convenzionali, che proponevano delle soluzioni palliative quali medicine e proventi. I pazienti andavano avanti esclusi dai legami sociali.

La “Laço” è un’entità nata con l’obbiettivo di promuovere una rottura con il modello assistenziale di terapia per la sofferenza psichica. Essa accoglie persone che, per la malattia psichica e/o per la loro situazione socio-economica, soffrono per un’esclusione sociale. La sua proposta di inclusione parte dallo stimolare il rapporto tra le persone, elo scambio di conoscenze e di produzione, in modo che ciascuno possa cercare nelle proprie capacità una risposta per il proprio futuro. Le attività della Laço sono nel campo della formazione affinché il paziente possa anche mantenersi economicamente. L’incentivo allo sviluppo delle abilità di ciascuno lo aiuta a trovare il suo posto nello spazio sociale. Il lavoro è fondato sulla corresponsabilità. Per questo la Laço offre cure psichiatriche, psicologiche e workshops di ricamo, tappezzeria, ceramica, informatica, giardinaggio, carta riclicata, musica, anneddoti, poesia e radio.

La Laço promuove un investimento radicale nel soggetto, anche se portatore di problemi psichici. Non vede i suoi pazienti come dei minorati. Investe nelle sue migliori possibilità e nel suo potenziale di sostegno del desiderio.

Un episodio può illustrare un po’ una delle strategie terapeutiche. Accolgo un paziente schizofrenico, mendicante, che vive per le strade della favela, smarrito, ma che occasionalmente viene da noi per vedermi, prendere delle medicine – che però assume e sospende quando vuole. Ricevo Frederico, prescrivo le medicine e poi gli chiedo cosa vorrebbe donare come contributo al servizio della Laço. Lui non capisce. Spiego. Qui ognuno è invitato a far parte di un programma di collaborazione e di scambi. Sia il lavoro medico o psicologico come anche le attività che chiamiamo workshops sono retribuiti attraverso la donazione di poesie, musiche, riflessioni, notizie per la radio, caffè, succo, biscotti, detersivo, lavori – come pulizia delle sale o dei vetri- insomma, ognuno offre quello che può. Commento con Frederico sull’importanza della sua partecipazione. Frederico prende dalla tasca un pacchetto di sigarette dal nome Euro. E mi dice: “Prenda, è per lei.” Io sorrido. Lui continua: “Potrebbe essere una reliquia, lo tenga.” E poi: “Potrebbe dare queste sigarette a qualche vecchietto che desideri fumare”.

 

La Laço non accetta l’annullamento del soggetto operato dal modello assistenziale dominante. Cerca di trasformare questo paradigma clinico, che riduce la pazzia a malattia mentale appartenente ad una categoria negativa. La Laço cerca di negare e ricostruire questi riferimenti.

Stimola i suoi pazienti a creare il proprio spazio, uno spazio di invenzioni, di riferimenti che attuano nel sociale come creazione di rapporti (enlaçamentos) delle più varie caratteristiche e come mediatori di scambi sociali bloccati. Lavoriamo meno sulla malattia e di più sulla persona, mettendo in circolazione tutto ciò che facilita la creazione di rapporti sociali. Nel programma di scambi o di contributi, ognuno, persino i mendicanti, sono invitati a donare: in questo modo è conferita loro una maggiore dignità. Ognuno, nelle sue possibilità, ha qualcosa da proporre, da costruire, ha il suo contributo da dare.

Questo programma di scambi ha come obbiettivo la rottura con un modello protezionista nei confronti del pazienti. “Ci sembra che la proposta degli scambi fa emergere degli oggetti che, messi in circolazione sono scoperti come beneficio per se e per gli altri. Questi oggetti possono servire a far nascere dei rapporti sociali. Uno di questi oggetti è il sapere, la conoscenza. La conoscenza che viene da colui che cerca la cura: non solo un saper fare ma anche un saper inventare” (contributo di Elisa Alvarenga).

Carmelita ha perso la mamma ancora da bambina. Aveva solo 13 anni e lavorava come domestica in casa di una famiglia con 4 bambini. Con la morte della padrona, il suo padrone, vedovo, ha voluto sposarla. Carmelita aveva solo 14 anni. A 24 anni Carmelita aveva già 10 figli e si è ammalata per la prima volta. E’ diventata aggressiva, udiva delle voci che le suggerivano di uccidersi e di uccidere anche i suoi figli. Camminava tutta la notte per le vie della città, come smarrita. La polizia la conduceva, in catene, all’ospedale psichiatrico. I figli e i vicini della favela la consideravano pazza. I suoi ricoveri in ospedale duravano dei mesi. Si riferisce a questi periodi come “un tempo di morte in vita”. Dopo varie cure, è stata portata alla Laço. E’ stata invitata a partecipare alle proposte dell’ente. Siccome sapeva ricamare, è stata invitata ad insegnare ricamo. Così ha dato inizio ad un workshop di artigianato alla Laço. Ha portato come prime allieve, alcune ragazzine della favela che usavano droga. In quel periodo l’uso delle medicine non otteneva l’effetto desiderato per la salute di Carmelita.

“Ho sempre pensato che non ero nessuno. Non sono mai stata qualcuno. Ma ora so: io sono qualcuno. Le persone gradiscono quello che faccio, vendo il mio lavoro ancora prima di finirlo. Ho iniziato l’atelier di ricamo invitando alcune ragazzine della favela che usavano droga. Oggi anche loro fanno parte del nostro gruppo di 58 ricamatrici, giovani e adulte. Loro sono venute ed hanno invitato anche altre. Alcune si sono già sposate e non vivono più qui. La mia dose giornaliera di medicine è stata ridotta da 18 a 3 pasticche. Mi è nato anche il desiderio di imparare a leggere e scrivere e sto studiando. I miei figli avevano paura di me e oggi sono rispettata, prima di tutto dai miei familiari. Per la strada, le persone mi chiamavano pazza. La vita è cambiata. Oggi curo la mia nipotina. E sono anche invitata a fare lezione di ricamo in altri posti. Alcune persone mi criticano perché lavoro come volontaria per la Laço. E’ perché non riescono a capire che qui io ricevo dignità, amore, voglia di vivere. Ciò che mi aiuta qui è che non sono trattata da malata. La Laço è per me come la mia casa e la mia famiglia. La differenza sta nella libertà che abbiamo e ciò che mi piace di più è poter insegnare: così posso passare ad altri quello che ho ricevuto”.

La Laço ha fatto nascere alcuni tipi lavori, di iniziative pratiche che aiutano a fare dell’Associazione uno spazio dove sono costruiti rapporti sociali anche tra coloro che, per definizione, hanno difficoltà a creare questi rapporti.

Si sa che, per la psicosi, davanti a certe situazioni ed esigenze, il paziente non è capace di rispondere come soggetto. Così il lavoro nostro consiste nel non esigere da un soggetto quello che non può dare, ma nel creare le condizioni affinché queste possibilità possano emergere in una esistenza annientata dalla psicosi.

La clinica della Laço cerca di creare le condizioni per il lavoro, penetrando nella logica della pazzia e permettendo la costruzione di punti di localizzazione del soggetto: nella terapia clinica, nelle attività e nei servizi all’istituzione. Riconosce i limiti presentati dallo psicotico come una “differenza”. Invece di negare questa condizione, accoglie e dà spazio a ciò che sfugge alla nostra operazione di produrre senso. Ammette quel che non ha senso come punto di partenza del suo lavoro.

Nella clinica della Laço, come anche nelle attività dell’istituzione, la conoscenza che proviene dalla soggettività di ognuno occupa un posto privilegiato: lo spazio aperto all’invenzione. La diversità delle attività, personalizzate da ognuno, lo attesta.

Quando Marcelo è arrivato alla Laço, veniva da un ospedale. Ha portato le diagnosi ricevute in vari ricoveri: schizofrenia ebefrenia, schizofrenia paranoide e, per ultimo, schizofrenia catatonica. Ha cominciato a partecipare alle riunioni di gruppo dei pazienti. Assieme agli altri, è stato invitato a collaborare. Si è offerto a redigere gli atti degli incontri di gruppo come pure di aiutare nel bazar, facendo i conti. “Atti e conti curiosamente eseguiti con grande cura, accresciuta dallo zelo con cui sia lui che gli altri si prendevano cura della stanza in cui lavoravano. Curioso era il modo con cui presentava gli atti ed i conti: li avvolgeva in una plastica trasparente, lasciando intravedere il contenuto, ma chiudendola con estrema cura per proteggerla ed impedirne la manipolazione e il deterioramento. I conti erano sempre esatti fino al centesimo”. Nelle sue cartelle cliniche psichiatriche troviamo registrato: “era un paziente molto grave. Con innumerevoli ricoveri anteriori, tentativi di auto sterminio, idee di persecuzioni gravissime che si attenuavano un po’ quando usava il suo proprio braccio per spegnere sigarette. Aveva anche un’impressionante aggressività durante le crisi”. Marcelo ha trovato un posto nella Laço. E incredibilmente il suo è un posto che fa funzionare altri settori. Contrariamente alle teorie che dicono che lo psicotico non riesce a creare rapporti e riesce ancora meno a far si che altri desiderino creare rapporti con lui.

Quinet, in Psicosi e Rapporto sociale afferma: “Il pazzo vive fuori da ogni discorso. Egli distrugge il suo stesso corpo, e vede la morte come una forma di ricusare ogni rapporto. Aggredisce il rapporto sociale attraverso la critica, indicando le impossibilità e gli errori della società. Indica l’inconsistenza dell’altro, l’altro è visto come inconsistenza della legge e dell’amore. Usa delle armi per distruggere l’altro. Sono esse l’ironia, il cinismo e lo scetticismo.”

Cosa avevamo da imparare da un soggetto la cui storia psichiatrica aveva lanciato in un errare senza tregua, sentendosi minacciato di morte e dovendosi ricoverare molte volte? I medicinali (decine ed in alte dosi) non riuscivano a dargli pace. Come potrebbe la Laço offrire un po’ di benessere ad un soggetto portatore di un quadro clinico psicotico così grave?

Venuto alla Laço nel 2004, Marcelo ha cominciato a costruire il suo spazio, si è interessato della sua terapia e anche della proposta dell’entità. Ha cominciato appunto a redigere gli atti, a controllare le vendite del bazar, ha fatto nascere il settore della solidarietà, con la proposta di donare alcuni oggetti del bazar a delle entità ancora più povere. Marcelo ci insegna che i suoi sintomi hanno trovato un altro elemento: un abbozzo di costruzione, che costruisce rapporti. E’ nostro dovere etico propiziare, e non disturbare, la forma attraverso la quale ognuno riesce ad elaborare ciò che non ha soluzione. E’ in questo fare che il soggetto estrae ciò che gli dà senso e vita. Campo di invenzione proprio e personale di ognuno, che ci fa interrogarci sui sorprendenti risultati di questa terapia, dovuti ai diversi tipi di rapporti costruiti da Marcelo, che sfuggono ad ogni teoria.

Nel 2007 Marcelo ha fatto un corso per diventare badante di anziani.

“Ho passato più di 10 anni morto, chiuso negli ospedali… Per molto tempo ho nascosto il mio braccio segnato dalle scottature delle sigarette. Oggi sono un’altra persona. Nel 2007 ho fatto anche un concorso per entrare nel corso di Dirigente Aziendale alla Pontificia Università Cattolica di Belo Horizonte. Sono stato promosso ed ho ripreso gli studi… Continuo a lavorare come collaboratore alla Laço”.DS - Divisione Scritti (UNI)

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